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NUOVO MILLENNIO |
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Come si ricorderà, con il
termine “Fattore K”,dove “K” sta per Kommunizm in lingua
russa, Alberto Ronchey, editorialista del Corriere della
Sera, nel 1979 evidenziò la ragione dell'impedimento al
ricambio di governo nel nostro Paese, la cosiddetta
“alternanza”. In Italia, e dovunque nell'Europa occidentale, se un potente partito comunista prevaleva su ogni altra opposizione, il ricambio di governo risultava impossibile. Con quel nome legato alla tragica esperienza sovietica, senza un'deologia e una politica estera compatibili con le condizioni storiche dell'Europa di qua dal muro berlinese, i comunisti non potevano esercitare un'alternativa di governo su mandato degli elettori e con sufficienti alleati, ma impedivano anche che fossero i socialisti o socialdemocratici a rappresentare un'alternativa a sinistra. Già nel 1958 il Partito socialdemocratico tedesco, guidato da Willy Brandt, in occasione del suo congresso a Bad Godesberg, affrontò il problema di una revisione programmatica, con la quale la Spd abbandonava la prospettiva rivoluzionaria, quella marxista, per accettare il riformismo. Da parte dei comunisti italiani forte rimase la prospettiva marxista rivoluzionaria, nonostante alcune voci che invitavano a cambiare gradualmente rotta, tra cui va ricordata quella di Giorgio Napolitano e dei “miglioristi”, sbertucciati con sarcasmo all’interno del loro stesso partito e che rimasero sempre un’ala minoritaria. Invece, l'orizzonte si illuminò d'improvviso dell'infausta invenzione del "compromesso storico", che se attuato avrebbe cristallizzato la politica italiana, assegnando alla Dc, partito di maggioranza, la rappresentanza della piccola e grande borghesia e al Partito Comunista la rappresentanza unica delle "masse popolari" a sinistra, con le prevedibili conseguenze. Le Brigate Rosse, con la loro scia di sangue che conta centinaia di morti uccisi a sangue freddo e migliaia di feriti, certamente non alimentate dal Pci, nonostante i molti comunisti convinti che i brigatisti fossero "compagni che sbagliano", sono da ascrivere, anche se in un quadro ben più ampio, alle scelte del Pci definito "partito di lotta e di governo" altro ossimoro e implicita ammissione derivante dalla consapevolezza che mai il Pci sarebbe stato ammesso nelle stanze del potere. Dopo la caduta del “muro” fu rappresentata la farsa della “Bolognina” con la quale i comunisti cercarono di riproporsi quali “democratici” senza affrontare con una riflessione seria e un congresso decisivo il loro passato e la loro storia e senza definire una propria linea politica, che li avrebbe inevitabilmente accomunati agli odiati socialisti, mettendo a nudo contraddizioni drammatiche (a tal punto che si definivano socialisti in Europa, continuando a demonizzare il socialismo in Italia). I miglioristi furono oggetto di una virulenta offensiva della magistratura, quasi al pari dei socialisti. La "nuova" formazione mostrò di che pasta era fatto lo spirito "democratico" di cui essa cercava di ammantarsi, e la sostanza forcaiola di cui era impastata, non sopita ancora oggi, nella sera in cui lo psicolabile collettivo trattò Bettino Craxi peggio di un brigante di strada, si appostò sotto la sua privata residenza romana e tentò di bloccare la sua uscita con il lancio contundente di monetine, pieno di furore e di disprezzo. Anche allora, prima che nelle menti, la demenza era negli argomenti usati in una lunga campagna forcaiola alimentata da quello strano eroe e demagogo che fu ed è Di Pietro, con le complicità che si conoscono nella magistratura, nei poteri di garanzia, nei media, e negli epigoni del Partito comunista. Tutto ciò perchè Tangentopoli ha salvato un comunismo in ridicola agonia, che avrebbe dovuto rispondere dei suoi tradimenti, degli omicidi e del male fatto a tanti umili che hanno creduto ciecamente nei vaniloqui della sua “classe media riflessiva” e della burocrazia parassitaria mutuata dalla più classica delle devianze del sovietismo, consegnandolo, ormai privo di autonomia riformatrice, all'influenza della magistratura, dei noti media e dei poteri di garanzia. Questa è la ragione per cui i comunisti di prima del muro, dopo ripetute verniciature di facciata, si trovano ancora oggi ai vertici della politica italiana, mal pentiti o affatto pentiti. Essi vengono definiti o si autodefiniscono molto erroneamente ex-comunisti. Infatti, un ex è qualcuno che non c’è più, ma nessuno di loro ci ha detto in che cosa si è trasformato. Anche nel cambio del nome è rimasta l’eco del passato. Chi non ricorda le repubbliche “democratiche” dei paesi comunisti satelliti? Non si tratta perciò di ex, ma di “passatisti” perché nulla è cambiato nel loro Dna. Questa colpa grave, che sembra anche una vera e propria resa, non è senza conseguenze, perché una sorta di nemesi storica si è abbattuta sugli epigoni del comunismo, cioè il Fattore K. Il Fattore K si presenta oggi sotto una diversa veste, che si può riassumere in una sorta di diffidenza insuperabile da parte degli italiani nella sincerità della posizione politica dei comunisti dopo-muro. Questi, dal canto loro, sono i primi a percepirla tanto passivamente che, senza dignità e per puro spirito pragmatico, accettano l'anomalia di coalizioni il cui candidato alla guida del governo nazionale, in elezioni a suffragio universale, non è espressione del partito di maggioranza. Quindi è tuttora difficile o impossibile coalizzare sotto la guida di un loro candidato sufficienti forze di altri partiti, anche solo per ottenere appena un soffio di maggioranza. Ma anche le recenti vicende interne stanno a dimostrare questo residuo «fattore di proibizione». Infatti l’elezione di un già comunista doc (Bersani) alla segreteria del Partito Democratico, ha provocato una mini-scissione (Rutelli) e i mugugni di altri che si dichiarano sul piede di partenza. Ed è questa quella che possiamo definire l’ombra lunga del fattore K, che incide tuttora nella corretta dialettica democratica nel nostro Paese. |
L’anomalia del PCI nel panorama politico italiano
Il PCI si è alimentato di equivoci fin dalla sua costituzione,
quando di punto in bianco la gran parte della “cultura idealistica”,
di ispirazione gentiliana e crociana, si riversò nel contenitore
marxista con una disinvoltura senza precedenti. Qui si rivelarono
pienamente le qualità di Togliatti il Migliore, il quale promosse
con successo questa trasmutazione della maggior parte degli uomini
di cultura, a cui sovrappose, però, il famigerato “Comitato
centrale” con il compito di gestire in maniere autoritaria un potere
permeato di spietato cinismo.
Un partito verticistico e di apparato non tardò ad emarginare gran
parte degli intellettuali, sostituendoli con burocrati freddi e
grigi, provenienti dalla scuola di partito delle Frattocchie.
Ideologi, non idealisti, cioè portatori di un pensiero dogmatico e
fanatico, impermeabile ad ogni aggiornamento, incapace di idee
nuove. Lo sbertucciamento di ogni differenza culturale e la
demonizzazione dell’avversario divennero così una pratica abituale..
A farne le spese tutti coloro che negli anni si sono incautamente
avvicinati al PCI (gli "indipendenti di sinistra", come si
autodefinivano), accolti inizialmente a braccia aperte e strada
facendo emarginati gradualmente.
I cattolici intransigenti e integralisti, insieme a socialisti
pavidi, che hanno da sempre anelato, fin dal dopoguerra, ad un
amalgama con il PCI e che ci sono finalmente riusciti grazie a
tangentopoli, oggi lo assecondano in cambio di briciole di potere,
ma non tarderanno a toccare con mano questa realtà.
Nessuna sorpresa quindi se in quei Comuni e Regioni dove i medesimi
di sempre hanno conquistato un potere assoluto, si affermano
tendenze autoritarie, che fanno il deserto intorno, instaurando
tutti i metodi noti del loro vecchio regime di riferimento, a
partire dall’esclusione dell’altra parte del mondo.
Il fattore K verrà superato solo dopo l’avvento di una generazione
non coinvolta nelle vicende politiche del secolo scorso.